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Don Milani e l'obiezione di coscienza

Lorenzo Milani nasce a Firenze il 27 maggio 1923 in una colta famiglia borghese. Nel 1943 entra in seminario a Firenze e nel 1947 viene ordinato Sacerdote. Il primo incarico è a Calenzano (FI). Nel 1954 è parroco a Barbiana, nel territorio del comune di Vicchio del Mugello. Inizia l'esperienza di scuola popolare a tempo pieno.

Il 15 febbraio 1966, a Roma, termina il processo per “apologia di reato” iniziato nel 1965 su denuncia di un gruppo di ex combattenti. I giudici, dopo tre ore di camera di consiglio, assolvono Lorenzo Milani e Luca Pavolini perché il fatto non costituisce reato.

Che cos’era successo?

Un anno prima, giovedì 11 febbraio, nel corso di un’assemblea, un gruppo di cappellani militari in congedo della Toscana vota un ordine del giorno, pubblicato su La Nazione di Firenze nel quale definiscono l’obiezione di coscienza espressione di viltà, insulto alla Patria e ai suoi caduti. La domenica successiva una copia del giornale è portato a Barbiana da un allievo di San Donato, Ferrero Facchini, e dal professor Agostino Ammannati. Il Priore legge il ritaglio del giornale insieme ai ragazzi.

Nell'anniversario della Conciliazione tra la Chiesa e lo Stato italiano, si sono riuniti ieri, presso l'Istituto della Sacra Famiglia in via Lorenzo il Magnifico, i cappellani militari in congedo della Toscana. Al termine dei lavori, su proposta del presidente della sezione don Alberto Cambi, è stato votato il seguente ordine del giorno:
«I cappellani militari in congedo della regione toscana, nello spirito del recente congresso nazionale dell'associazione, svoltosi a Napoli, tributano il loro riverente e fraterno omaggio a tutti i caduti d'Italia, auspicando che abbia termine, finalmente, in nome di Dio, ogni discriminazione e ogni divisione di parte di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise, che morendo si sono sacrificati per il sacro ideale della Patria.
Considerano un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta "obiezione di coscienza" che, estranea al comandamento cristiano dell'amore, è espressione di viltà».
L'assemblea ha avuto termine con una preghiera di suffragio per tutti i caduti.

Comunicato pubblicato sulla Nazione di Firenze del 12 febbraio 1965.

Lettera ai cappellani militari

Ci fu una lunga discussione con i ragazzi, su quell’ordine del giorno: maturò così la “lettera” ai cappellani militari toscani, composta sperimentando il metodo di scrittura collettiva.

La lettera, firmata da don Lorenzo, fu diffusa a stampa in forma di volantino e riprodotta parzialmente da vari giornali. In seguito a un esposto di un gruppo di ex combattenti, la Lettera ai cappellani fu incriminata e don Lorenzo fu rinviato a giudizio per apologia di reato, insieme al direttore del settimanale del P.C.I. Rinascita, Luca Pavolini, che aveva riprodotto la lettera integralmente. 

Questi i fatti. Occupiamoci ora del contenuto della lettera.

Che cosa c’era di così pericoloso da meritare un processo?

1. Nella lettera ai cappellani, la difesa dell'obiezione di coscienza era solo uno spunto per aprire un discorso educativo molto più ampio.

“Avete insultato dei cittadini che noi e molti altri ammiriamo. E nessuno, ch’io sappia, vi aveva chiamati in causa. Abbiamo idee molto diverse. Posso rispettare le vostre se le giustificherete alla luce del Vangelo o della Costituzione. Ma rispettate anche voi le idee degli altri. Soprattutto se son uomini che per le loro idee pagano di persona.”

2. L’intenzione era di fornire una riflessione sull’obbedienza acritica agli ordini dei superiori. Non è una condanna all'esercito, ma una lezione impartita sull’assurdità della guerra e un'occasione per rileggere la storia introducendo il punto di vista del perdente e sulle sofferenze che gli ordini di chi comanda provocano alla popolazione civile ... 
“Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L’obbedienza a ogni costo? E se l’ordine era il bombardamento dei civili, un’azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l’esecuzione sommaria dei partigiani, l’uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura, l’esecuzione d’ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni …”

“… in questi cento anni di storia italiana c’è stata anche una guerra “giusta” (se guerra giusta esiste). L’unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana. Da un lato c’erano dei civili, dall’altra dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall’altra soldati che avevano obiettato.”

e di stabilire una scelta di campo, di confini e appartenenze

“Non discuterò qui l'idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. 

Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto.

L' «opinione pubblica» reagisce, violentissima.

Come abbiamo già detto, un gruppo di ex combattenti lo denuncia al procuratore della Repubblica di Firenze. Il documento è incriminato e l’autore inviato a giudizio.  È questa l’occasione per una nuova lettera, una sorta di autodifesa indirizzata ai giudici del processo. 

lettera ai Giudici

 18 ottobre 1965


La Lettera ai Giudiciancora più potente, contiene almeno 3 parole chiave del pensiero di don Milani e del suo impegno educativo:

L’obbedienza non è più una virtù.

“A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore. C'è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è mai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio

L’amore per la legge, ma non per tutte le leggi

essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.”

I care

Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande "I care". È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”. È il contrario esatto del motto fascista “Me ne frego”

una breve parentesi

Nel 1965 la Chiesa era contraria all’obiezione di coscienza. Fortunatamente proprio in quei giorni si tenevano le sessioni del Concilio, che produrrà il documento “Gaudium et Spes” nel quale, al punto 79  (“Il dovere di mitigare l'inumanità della guerra”)  sembra di leggere il pensiero di don Milani.  Vi si dice, nel secondo capoverso:  «Le azioni pertanto che deliberatamente si oppongono a quei principi e gli ordini che comandano tali azioni sono crimini, né l'ubbidienza cieca può scusare coloro che li eseguono»


Nel 1967, in maggio, escono le prime copie di "Lettere a una professoressa "; il 26 giugno don Lorenzo Milani muore nella casa della madre a Firenze e successivamente sepolto nel piccolo cimitero di Barbiana.
Il 28 ottobre 1967, in appello, Luca Pavolini viene condannato; mentre per don Milani i giudici affermano che "il reato è estinto per la morte del reo".